“Le mani sulle news. Dalla Rai ai giornali, la strategia della destra che punta al pensiero unico”. Così ha titolato Repubblica il 4 maggio 2024.
Chiunque guardi alla storia dei mass media in Italia, Rai inclusa, e lo faccia senza lenti colorate (di rosso), non può che provare un forte senso di straniamento di fronte ad un simile titolo. Perché per anni e anni – repetita iuvant – dirigenti, intellettuali, giornalisti, hanno occupato tutti i posti possibili, inclusi gli strapuntini.
Ieri, a proposito dei David di Donatello, qualcuno ha scritto: “Una giuria di piddini ha premiato dei film di piddini”. Senza entrare nel merito, si può dire che questa prassi è sempre stata in auge, così come avviene in genere nei premi letterari.
In altro articolo avevo spiegato come gli appalti di cinema e fiction della Rai abbiano sempre favorito le società vicine all’Ulivo, ai Ds e poi al Pd, consentendo anche alla formazione professionale di uno stuolo di operatori.
Oggi accade che appena in Rai si sta tentando di cercare un minimo di riequilibro (oggettivamente impossibile), il sindacato Usigrai ha convocato uno sciopero gridando all’instaurazione di una grave censura di governo, e strillando contro le decisioni di accorpare alcune redazioni. Inoltre protesta contro il sindacato Unirai, contrario allo sciopero.
Sono tutte questioni distinte, che dimostrano insieme un’assai significativa malafede.
Posso senz’altro affermare che per molti anni in Rai è andata in onda una sorta di autocensura automatica, nel senso che tutto veniva filtrato attraverso le lenti di chi stava in sintonia con i potenti del momento, per lungo tempo dello stesso colore. Ma il sindacato Usigrai si è sempre ben guardato dal protestare. Evidentemente si considerava normale non solo non disturbare, ma anche appoggiare sempre e comunque il manovratore.
L’Usigrai nei suoi comunicati rivendica il diritto di sciopero, dimenticando che rimane un diritto anche quello di non scioperare rivendicato dal sindacato Unirai, che invece viene accusato per questo di essere “colluso” con il Governo.
Assai più problematica la questione dell’accorpamento di alcune redazioni, in nome di una ottimizzazione delle prassi di lavoro che in altri network pubblici e privati sono in vigore da molti anni. Su questo posso fornire due testimonianze personali, che risalgono al periodo in cui ero membro del Cda della Rai. Nel 2002 feci una visita alla BBC, dove scoprii che ogni giornalista nel suo turno di lavoro faceva un pezzo per la tv, un pezzo per la radio e un pezzo per internet. Da amministratore delegato di Rainet nel 2004 tornai da una visita a France Telévision Interactive con le specifiche di un registratore digitale portatile con il quale i giornalisti radio e internet registravano i servizi e poi se li montavano da soli sul proprio pc. Proposto da noi, il sindacato dei montatori e dei giornalisti si oppose: i primi perché temevano di perdere il lavoro, i secondi per timore di dover fare anche i montatori. Curioso che poi nei comunicati ufficiali si lamentassero che l’azienda non investisse nell’innovazione. Può bastare?
Non invidio il difficile ruolo dell’attuale Dg Giampaolo Rossi, Ad in pectore, intento a perseguire un minimo di riequilibrio nell’informazione e una doverosa riorganizzazione produttiva, in un momento in cui una frammentata opposizione, non avendo altri argomenti, si sta scatenando in una vera e propria battaglia di retroguardia che in realtà nasconde l’ira per la perdita di un consolidato strapotere.
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